Reperti art-etnografici dall’Antropocene: produzioni naturalculturali dal Quarto Paesaggio mediterraneo

esposizione di Silvia Lelli

MOSTRA: 14 APRILE 2023, Convegno MARINE LITTER
Isola d’ElbaHotel Airone, Loc. S. Giovanni
, Portoferraio

G. D’Addino ph.

La mostra è costituita da oggetti raccolti su spiagge libere dell’isola d’Elba-Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, luoghi non addomesticati ad uso turistico che quindi presentano condizioni ‘oggettive’ del pianeta, comunemente nascoste. Si tratta di reperti etnografici insoliti, raccolti nel punto di incontro tra acqua e terra, aggregazioni che mostrano l’intra-azione (Barad 2003-2012) di materiali organici e inorganici, evidenze della nuova e critica condizione ambientale. Prodotti industriali umani usati, rifiutati e rielaborati da elementi naturali. Oggetti polimaterici e polisemici prodotti dagli eccessi dell’economia industriale, estratti dall’invisibilità cui sono relegati dalle categorie cognitive rifiuti/spazzatura.

Il linguaggio materiale della loro esistenza, sorprendente e poeticamente trasgressivo, provocatoriamente contro-estetico, induce connessioni nuove, utili per comprendere la situazione eco-illogica nell’inatteso tempo – o “confine” (Haraway 2015) – dell’Antropocene.

Planet, Silvia Lelli ph.

Sebbene esposte come opere d’arte non sono creazioni di ‘un artista’ ma prodotti dall’intra-azione imprevista tra natura e cultura che sovvertono le normalizzate e normative accezioni di causalità, individuo, s/oggetto, agency, responsabilità, e conseguentemente di oggettività, staticità, dicotomie, ecc. di un immaginario a-scientificamente stabilizzato. Al tempo stesso evidenze materiali e semiotiche transdisciplinari, questi oggetti propongono di guardare un lato oscuro del mondo e riconnettono dicotomie teoriche e ambiti di vita artificialmente separati: natura, cultura, umano, non-umano, vivente, organico, inorganico, sfere sociali, biologiche, fisiche, processi e trasformazioni della materia, ignoranza, informazione, educazione, estetica, arte, simboli, economia, poteri, politiche. Una nuova prospettiva che ri-conosce entanglements reali, offrendo alla visione sia oggetti materiali ibridi e tangibili, sia categorie per comprenderne la complessità, mostrando l’irrazionalità
dell’esistenza stessa di questi ‘reperti’ e le responsabilità dell’anthropos.

Birthday Cake, Giuseppe D’Addino ph.

Oggetti raccolti in un “Terzo Paesaggio” (Clément 2004) che merita l’appellativo di ‘Quarto Paesaggio’ perché pur rientrando nella definizione dei Planetary Gardens di G. Clément – “zone fortunatamente trascurate dall’uomo” – presenta caratteristiche particolari:
– la ‘diversità’ qui è costituita da elementi ibridi, organici/inorganici;
– esistono specificamente all’incontro tra terre e acque;
– hanno confini complessi: apparentemente limitati a sottili fasce costiere, sono in collegamento con i Garbage Patches oceanici;
– consentono una “diffrazione” (Haraway 1985) – più ampia di una semplice ‘riflessione/specchio’ – in quanto contesti di intra-azione dinamica tra elementi (in realtà “fenomeni”) classicamente differenti: i sensi umani, i ‘4 elementi fondamentali’ (aria, acqua, terra, fuoco/sole) e tutti i materiali organici e inorganici presenti.
– Il riferimento va anche al “Quarto Potere” (Welles 1941) e sottolinea i collegamenti tra l’ambiente e i poteri visuali e performativi dei media, con effetti economici e politici.
Ogni singolo oggetto/assemblaggio esposto costituisce una diffrazione situata dello sconfinato Quarto Paesaggio, ultima tappa di provenienza degli oggetti-rifiuti che vi si accumulano in proporzioni inimmaginabili, e permette a chi non lo ha frequentato di farsi un’idea delle condizioni reali del pianeta.

Skeletons, Silvia Lelli ph.

Se Appadurai (ed. 1986) e Kopytoff (1986) hanno trattato la vita sociale delle cose, questa ricerca mostra che il processo della loro esistenza continua, sebbene nella loro morte sociale. La definizione ‘natura morta’ è qui assai pertinente, ma l’arte, o la semplice esposizione, diviene azione che sottrae questi oggetti alla morte e li “riporta in vita sotto altre spoglie” (Thompson 1979). In questo caso li rende indici reali, non solo simboli o rappresentazioni ma prove, evidenze ambigue e scomode – e perciò solitamente nascoste (Humes 2013, Reno 2016) – di situazioni insostenibili.
Gli oggetti restano comunque reperti etnografici, rilevanti ‘parti di realtà, fenomeni in azione’ (Barad 1996-2003), inattese espressioni materiali di processi in atto (Ingold 2000-2013) che preferiremmo ignorare e neghiamo (Norgaard 2011). Forse il linguaggio dell’arte può far posare la mente su questi ‘danni collaterali’, fuori controllo, della nostra ‘civiltà’.
Si tratta di arte ‘più che povera’ – con un neologismo, art-ethnography – dove l’intervento è minimo e non ulteriormente inquinante, diversamente da quanto accade in molte espressioni artistiche (auto)definite ecologicamente impegnate. Si tratta anzi di pulizia delle spiagge, e l’approccio ecologico ed etnografico, focalizzato sull’interazione imprevista tra agency umana e non-umana, organica e inorganica, mette in mostra i collegamenti antropologici tra ambiente, biologia, chimica, produzione, consumismo, economia, politiche, stili di vita. Gli esseri umani hanno esaurito il loro interesse utilitaristico nei confronti di questi oggetti, li hanno ‘rifiutati’-resi ‘rifiuti’. Questa ricerca, materiale e intellettuale, consiste nell’individuare, raccogliere e mettere in mostra oggetti ‘invisibilizzati’ e – senza alterazioni tranne quella di estrarli dal processo della loro imprevista creazione – giustapporli in posizioni e composizioni visibili, lasciando intatta l’evidenza delle loro storie.

Mediterranean Graveyard, Silvia Lelli ph.

L’intento è sottoporre ciò al pubblico, indurlo a osservare da vicino e pensare cose dalle quali, se incontrate per caso o per errore di un bagnino, ha allontanato lo sguardo.
Il linguaggio dell’arte – in questo caso un assemblaggio materiale ‘non solo umano’ – mostra la stretta interazione tra prodotti umani e natura, e può facilitare una visione autocritica su qualcosa di sgradevole che normalmente cerchiamo di non vedere. L’operazione ecologico-artistico-antropologica ha un impatto ambientale, sociale, educativo e politico: l’esposizione formalmente impeccabile di oggetti inutilizzabili contesta la mentalità utilitarista con un’anti-estetica imprevista, fuori categoria, dotata di una liricità che ha attratto l’artista- antropologa, che la ripropone allo sguardo altrui mostrando qualcosa che di solito non vogliamo vedere ma che attraverso la poetica può lasciarsi pensare.
Senza ulteriori alterazioni chimiche-inquinanti sui pezzi, il messaggio ecologista è concreto, materiale, fisico, e si espone al pubblico con la sfacciata semplicità delle cose reali, esplicitando attraverso oggetti consunti un oltreconfine sconosciuto della società dei consumi.
Tale lavoro interdisciplinare intende produrre un certo potenziale di sensibilizzazione su temi ecologici – nel senso aperto da Bateson, a Haraway, Barad e altr* – dall’ambiente fisico alla mente, dalla natura alla costruzione linguistica e culturale – rendendo evidenti gli intrecci concreti e transdisciplinari, nascosti dalle separazioni teoriche, fino a quelli tra una produzione economico-chimico-industriale solo parzialmente pianificabile e i suoi effetti collaterali, devastanti: tra macro e microplastiche, tra micro-reperti e macro-contesto globale, tra natura e poteri economico-politici.

Pinna Nobilis et Ignobilis, Silvia Lelli ph.

Il sottotitolo glocal-geografico della mostra potrebbe essere “Dall’Arcipelago Toscano ai Great Oceanic Trash Vortex: produzioni impreviste tra natura e cultura”, a indicare che gli ‘oggetti morti’, i brandelli, le micro particole di plastiche consunte dall’attrito-agency di onde, pietre, calore, luce, sali, micro-organismi viventi sconosciuti… si formano ovunque sul pianeta, creando le immense ‘isole di spazzatura’ inquinanti nei mari. Microplastiche entrate nella catena alimentare, che animali e umani ingeriamo, beviamo, respiriamo.

Gli oggetti esposti a noi, noi esposti agli oggetti: vediamo da vicino tentativi vani di organismi viventi di riappropriarsi di materiali industriali ‘inutili’, che noi cancelliamo dalla mente utilitarista e crediamo non esistano più. Esistono invece, e i tentativi della natura di opporsi alla loro esistenza non sono sufficienti a governarli senza la collaborazione umana. La mostra, diversamente da altre operazioni artistiche, è realizzata senza ulteriori interventi inquinanti. È un percorso e un messaggio ecologista concreto e poetico che suggerisce conoscenze e azioni, per costruire insieme nuove visioni, nuove politiche, nuove pratiche di vita.

Reappropriations-Floats, Silvia Lelli ph.

Articolo:
Fourth Landscape in the Anthropocene. Artethnographic Findings from a Mediterranean Waterfront. Text & Photos by Silvia Lelli, Università di Firenze, Italy, December 2017 – DOI: 10.7432/AAM190207. In AAM-Archivio Antropologico Mediterraneo, anno XX (2017), n. 19 (2), Semestrale di Scienze Umane, Managing Global Social Water, a cura di Nadia Breda e Elena Bougleux, ISSN 2038-3215.

Prophet praying on a dead god, Silvia Lelli ph.

The exhibit:
The exhibit is composed of 20-30 pieces. It took place in international congresses: the 4th International Congress of University Anthropologists-ANUAC, Università di Bolzano. Università di Firenze, Pisa, Siena. Cinema Teatro La Compagnia-Firenze. Conference International de Sciences, Savoirs et Pratiques des Déchets, Institut des Amériques, Paris.
The exhibit was approved at international conferences: the EASST/4S 2016 Conference on Science and Technologies by Other Means-Barcelona. The 6th Ethnography & Qualitative Research Conference-Bergamo. The EASA Biennial Conference 2016, Anthropological Legacies and Human Futures-Milano.

Lunch Time, Silvia Lelli ph.

Dettagli per l’allestimento
La quantità delle opere è a discrezione dello spazio e degli organizzatori. È preferibile uno spazio espositivo interno, privo di luce naturale per creare, con piccoli led puntati sugli oggetti, la possibilità di visualizzare al meglio dettagli e micro-organismi.
Le opere vanno poste su piani-supporti di colore neutro, ad altezza-uomo/bambino. È disponibile il video della raccolta degli oggetti in mare. La colonna sonora è costituita dalla registrazione del suono del mare e strumenti eolici. Quando il video è in corso, il suono e la luce delle immagini contribuiscono a diffondere un effetto che evoca l’azione del mare.
È possibile spargere nella stanza oggetti, rottami, pezzi, frammenti di materiali provenienti dagli stessi contesti, non pericolosi per i visitatori, ma a problematizzare simbolicamente il passaggio, l’aggirarsi in questo ambiente, diffrazione di una realtà più ampia.

Bolzano, 2015, Tim Ingold e Andreas Hapkemeyer.

Contatti e informazioni:
antropologiche@gmail.com – silvia.lelli@unifi.it

Silvia Lelli PhD, Adjunct Professor
Cultural & Social Anthropology
Università degli Studi di Firenze
Science of Education and Psychology Dept.
Via Laura, 48 – 50122 Firenze – I
ph. +39055243281 – mob-whatsapp: +393392973580
silvia.lelli@unifi.it – www.antropologiche.it